Natura

Introduzione al Diritto dell’Ambiente*
* di Getano Emanuele

L’Ambiente costituisce l’insieme delle condizioni naturali che rendono possibile la vita degli esseri viventi; per garantire una tutela effettiva dell’ambiente, occorre, sicuramente, sensibilizzare gli individui, ma non si può prescindere da un intervento autoritario ad opera del legislatore, nazionale, ma non solo. L’inquinamento, seppur prodotto in un determinato luogo, può, infatti, determinare conseguenze pregiudizievoli anche in luoghi vicini oltrepassando i confini dello Stato in cui si è verificato l’evento dannoso. Emerge, dunque, l’esigenza di garantire un’adeguata tutela all’ambiente da parte del maggior numero di stati possibile: il tema dell’inquinamento e del danno ambientale, infatti, coinvolge l’intero pianeta e richiede, pertanto, l’adozione di un’azione coordinata e globale. In Italia il dibattito sula questione ambientale si aprì negli anni 60-70, e già in data 13 luglio 1966 fù emanata la legge n. 615, c.d. legge antismog, finalizzata a contenere l’inquinamento atmosferico mediante l’imposizione di determinati limiti nei confronti di quei soggetti facenti uso di fonti produttive di inquinamento. Ma la vera svolta nell’ambito della legislazione ambientale avviene con la legge n. 349/1986 che ha istituito il Ministero dell’Ambiente. Con questa legge, non solo è stato istituito il predetto ministero con il compito di garantire una adeguata protezione e tutela all’ambiente, ma è stato finalmente affermato a livello legislativo il principio della risarcibilità del danno ambientale. Recentemente il nostro legislatore è intervenuto nell’ambito della legislazione ambientale con il decreto legislativo n. 152/2006, con il quale, in attuazione di alcune direttive comunitarie ed in particolare della direttiva comunitaria n. 2004/35/CE, ha tentato di riordinare tutta la materia ambientale, ed ha enunciato i principi generali del diritto ambientale e cioè il principio dello sviluppo sostenibile, il principio di precauzione, il principio di prevenzione, il principio è chi inquina paga, il principio di sussidiarietà e di leale collaborazione. Il decreto legislativo n. 152/2006, inoltre, ha sancito il diritto di accesso alle informazioni ambientali ed il diritto di partecipazione a scopo collaborativo.
Gli Incendi Boschivi*
* di Getano Emanuele

Il problema degli incendi boschivi in Italia suscita ormai da qualche anno un forte interesse. La crescita della sensibilità collettiva per i problemi della tutela naturalistica, l’attenzione dei mezzi di informazione, la portata dei danni economici arrecati dal fenomeno, hanno contribuito sensibilmente ad aumentare le forze impegnate, soprattutto d’estate, a ridurre la frequenza e l’estensione degli incendi boschivi. Se fino a pochi anni fa il compito di tamponare l’emergenza era affidato esclusivamente alle esigue forze del CFS e dei VVFF, costretti ad operare in condizioni di estremo disagio e con mezzi insufficienti, oggi esistono strutture operative che dirigono gli interventi su scala nazionale, coordinando tra loro, oltre ai corpi già citati, i mezzi della Protezione Civile, dell’Esercito, degli Enti Locali e del volontariato.
Le cause principali dell’incendio boschivo
Affinchè un incendio si possa sviluppare sono sempre necessari tre elementi che costituiscono il cosiddetto “triangolo del fuoco”, cioè il combustibile (paglia, legno, etc.), il comburente (l’ossigeno) e la temperatura di combustione. Mentre i primi due elementi sono sempre disponibili, la temperatura necessaria all’accensione è presente solo in determinate condizioni. Se in climi equatoriali la decomposizione della sostanza organica ad opera degli enzimi sviluppa molto spesso il potenziale calorifico sufficiente per l’autocombustione (e ciò rappresenta un importante fattore di regolazione dei sistemi forestali) alle nostre latitudini la possibilità di un simile evento non esiste. Le cause naturali di incendio possono essere attribuite o alla concentrazione di raggi solari attraverso una goccia di resina o di rugiada (evento quanto mai improbabile e mai verificato direttamente) o all’accensione provocata da fulmini in assenza di pioggia (fenomeno non raro che, comunque, non sembra essere causa rilevante di danni). Tutti gli altri fenomeni vanno attribuiti direttamente all’uomo, dividendo la casistica in cause accidentali, colpose e dolose.
Cause accidentali
Le cause accidentali degli incendi sono veramente numerose, a titolo meramente esemplificativo si possono citare le seguenti: Un corto circuito, un motore che si surriscalda, le scintille di strumenti da lavoro, possono costituire l’inizio di un focolaio. Gli incendi così causati vengono definiti accidentali.
Cause colpose
Anche le cause colpose sono assai numerose, la più frequente è la cicca o il cerino gettati dalle auto in corsa (nelle strade a grande scorrimento lo spostamento d’aria creato dalle vetture può alimentare le fiamme), ma anche i focolai da pic-nic lasciati incustoditi possono innescare pericolosi incendi. Ancora più frequente e con conseguenze estremamente pericolose, è l’abitudine di eliminare le erbe infestanti appiccandovi intenzionalmente fuoco. Questa pratica, da scoraggiare severamente, confina con il dolo, anche se applicata ingenuamente talvolta anche da personale istituzionalmente preposto alla pulizia di strade o verde pubblico.
Cause dolose
Come nel caso della “ripulitura” con il fuoco appena trattata, anche l’abitudine di bruciare le stoppie residue dei raccolti di graminacee, rientra in una categoria che à difficile da classificare come colposa o dolosa. Il fuoco viene appiccato con intenzionalità, ma l’obiettivo della distruzione non à quello di distruggere il bosco. Tuttavia, essendo quasi conseguente la propagazione delle fiamme nei pressi dei complessi boscati confinanti con i coltivi incendiati, viene da pensare che talvolta vi sia l’intenzione di guadagnare terreno coltivabile. Una anacronistica riproposizione della pratica del debbio comune alle civiltà agricole primitive. L’incendio delle stoppie è, in alcune regioni, la causa principale di incendio boschivo, e seppure vietata, rappresenta una pratica assai difficile da eliminare. Il sistema che sembra aver dato i migliori risultati è quello di un controllo preventivo accurato e costante, con punizioni esemplari per i trasgressori, unitamente ad una campagna di informazione, specialmente fra gli agricoltori più giovani, in cui si spieghi come il fuoco possa essere
la causa principale del depauperamento dell’humus e del degrado idrogeologico delle superfici coltivabili. La pratica di togliere lo spazio al bosco per tramutarlo in pascolo è tipica di certe forme di pastorizia. Inoltre in parecchie regioni c’è l’uso consolidato di bruciare il fieno seccatosi durante l’estate per favorirne la ricrescita alle prime piogge. Tale pratica, seppure non così frequente come quella di bruciare le stoppie, è tuttavia quella che provoca maggiori danni al patrimonio boschivo.
Mentre il contadino brucia le stoppie il più delle volte prendendo elementari precauzioni che salvaguardino quantomeno la propria casa e le coltivazioni ortofrutticole che la circondano, il pastore sceglie le condizioni metereologiche (vento forte, siccità estrema, pendenza del terreno), che rendano l’incendio il più distruttivo possibile. Purtroppo in tali casi, vuoi per le abitudini culturali connesse alla pastorizia, vuoi per l’inaccessibilità dei luoghi colpiti, vuoi per i metodi che vengono usati, è estremamente difficile prevenire e reprimere tale fenomeno. Per ridurre i rischi derivanti da
tale pratica può essere utile capire preventivamente quali saranno le aree colpite e mettere in atto opere difensive nei confronti della vegetazione arborea circostante (ad esempio creazione di sterrati, ripulitura delle fasce perimetrali, etc.). Un fenomeno accertato in zone ricche di selvaggina (soprattutto Ungulati come Cinghiali, Daini e Caprioli) è l’incendio di zone boscose e cespugliose per
provocare lo spostamento della fauna in zone più propizie alla sua cattura. Il danno che tale atto comporta alla biocenosi è talmente grave che solo pochi spregiudicati bracconieri ancora lo praticano. A parte gli incendi appiccati per vendetta, ormai limitati alle zone più marginali ed arretrate del nostro Paese, altri incendi per pura soddisfazione emotiva vengono appiccati dai piromani. Senza entrare nella casistica psichiatrica e nelle interpretazioni psicodinamiche di tale fenomeno, è un dato palese che esso viene sempre causato da individui con equilibrio psichico assai precario, e che sono quindi facilmente individuabili (anche per l’ossessività ripetitiva dei particolari) e per questo riportabili alla ragione senza ricorrere a misure estreme, che possono essere comunque paventate al colpevole una volta individuato. Per ultima citeremo la causa che forse ha causato più danni al patrimonio boschivo italiano negli anni ’50 e ’60. Ci si riferisce alle distruzioni dei boschi con lo scopo di attuare delle speculazioni nel settore edilizio. Per prevenire tale crimine dal 1975 una legge pone sui terreni percorsi dal fuoco il vincolo di assoluta inedificabilità sino alla naturale ricostituzione del manto boscato, anche in presenza di varianti che modifichino la destinazione d’uso dei fondi colpiti. Ciò dovrebbe far decadere ogni interesse per lo speculatore scoraggiandone gli intenti, ma, purtroppo, in Provincia di Roma (come in gran parte del nostro Paese), non esiste alcuna mappatura dei terreni percorsi dal fuoco ed è, pertanto, assai difficile imporre i vincoli.